viale e chiesa trinità

Benvenuto in questa stupenda chiesa

sarai guidato alla scoperta delle bellezze in essa contenute!

Elementi archittetonici

Elementi artistici

La facciata del Miazzi

Il percorso ideale per giungere alla chiesa della Santissima Trinità di Angarano è costituito dal viale dei cipressi, che, salendo lievemente, ci consente di ammirare sullo sfondo la nitida e armoniosa facciata della chiesa.

Era ancora arciprete don Marchetti, l’ideatore del viale, quando verso il 1810 si portò a termine la facciata della chiesa, secondo il progetto di Giovanni Miazzi (1698-1797). A questo valente architetto bassanese era stata affidata l’edificazione della nuova chiesa, al posto di quella quattrocentesca ormai inadeguata alle esigenze di culto. I lavori da lui diretti erano cominciati nel 1740 e si erano protratti fino al 1761, lasciando però incompleta la facciata.
Questa è ispirata al gusto neopalladiano: alti basamenti sorreggono quattro semicolonne, di ordine gigante, sulle quali poggia la trabeazione sovrastata dal classico timpano triangolare, decorato da una cornice dentellata.
Ai lati, nella superficie tra le due semicolonne, risaltano zone rettangolari e quadrate; al centro, sopra il portale d’ingresso, il timpano semicircolare si accorda col superiore arco trionfale. Al di sotto di questo, si apre, per dare luce all’interno, il rosone, sulla cui vetrata -rimessa dopo che quella antica era stata distrutta durante la seconda guerra mondiale- sono raffigurati il simbolo della Trinità e gli stemmi del papa Pio XII, del vescovo di Vicenza Zinato e degli Angarano.

Le tre statue sulla sommità della facciata

Fanno corona alla facciata le tre belle statue delle Virtù teologali.
Sul vertice di sinistra, per chi osserva, è collocata la figura femminile, col capo velato, che simboleggia la Fede: essa porta la croce latina e il calice, emblemi del sacrificio di Cristo e della Eucaristia.
Sul vertice di destra, appare la Speranza, che tiene un’ ancora: questa simboleggia non la virtù astratta alla quale si pensa di solito, ma la certezza della vita eterna col Salvatore.
Alla sommità del timpano svetta la Carità: la sua posizione preminente conferma l’affermazione di San Paolo, che la dichiara maggiore di tutte le altre virtù, quella che spinge ad amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo come noi stessi per amore di Dio. La tradizione iconografica rappresenta la Carità come una madre che allatta uno o più bambini. Qui essa ne raccoglie uno al seno, mentre altri due, ai suoi piedi, si tengono stretti alla veste materna.
Non sono ancora venuti in luce documenti che forniscano la data della commissione e il nome dell’artista che scolpì le statue. Non è improbabile che qualcuna di queste rechi incise filma e data, ma la loro collocazione rende molto ardua una verifica.
Percorso il viale degli alti e vetusti cipressi, contemplando la chiara, ordinata bellezza della facciata e riflettendo sul significato simbolico delle tre statue che spiccano alte tra cielo e terra, ora possiamo entrare nella chiesa.

Schemi compositivi di pianta e sezione che evidenziano l’applicazione della media proporzionale armonica

LEGENDA
1 G. B. Volpato, San Giorgio e Sant’Eusebio
2 B. Dusi, Martirio di Sant’Eurosia
3 A. Mattiello, Estasi di Sant’Eurosia
4 Pittore settecentesco, Estasi di Sant’Antonio di Padova
A Altare di San Vincenzo Ferreri con l’urna delle reliquie di
San Vincenzo martire
5 B. Dusi, San Vincenzo Ferreri
6 G. Graziani, San Giovanni di Matha
Presbiterio con l’ altare maggiore
7 Pittore settecentesco, Nozze di Cana
8 J. Bassano, La Santissima Trinità
9 Pittore settecentesco, Storia della peccatrice in casa di Simone
10 G. Graziani, San Felice di Valois
C Altare dedicato alla Madonna della Consolazione
11 R. Cremasco, Madonna della Consolazione
12 Lapide commemorativa della Consacrazione della chiesa
13 B. Dusi, La Sacra Famiglia
14 Pittore del primo Novecento, Estasi di Santa Rita da Cascia
15 G. Bernardoni, San Michele e Santa Apollonia
16 Cantoria con l’organo attribuito a Giacomo Bazzani
17 A. Zanotti Fabris e G. B. Mengardi, L’origine del Trisagio
Cappella feriale
18 G. Bassano, Madonna col Bambino e le sante Eurosia
e Maddalena
19 Pittore quattrocentesco, Madonna col Bambino e un devoto
20 G. Graziani, San Bovo
Campanile

Pianta tratta da Bassano del Grappa e le sue Chiese. Chiesa di SS. Trinità (Ass. Culturale Artevà, Bassano) e qui rielaborata.

Le Vetrate

La domenica 7 novembre 1948, con la partecipazione del vescovo Zinato, si inaugurarono solennemente le nuove artistiche vetrate, a colori e istoriate, eseguite dalla famosa ditta milanese Veder-Art, fornitrice di chiese non solo in Italia ma anche all’estero. Vetrate che erano state distrutte durante la seconda guerra mondiale. Causa lo spostamento d’aria  per lo scoppio delle bombe che distrussero il ponte nuovo.

Autore della loro decorazione fu Gianni Zuccaro.

Chi entra dal portale può osservarle nel senso antiorario, che rispetta l’ ordine cronologico degli episodi istoriati con scene della vita civile ed ecclesiastica della comunità angaranese. La prima a destra raffigura i Trinitari -un soggetto che viene trattato anche nelle due tele del Graziani- sullo sfondo dell’antica chiesetta d’Angarano, annessa al convento loro e all’ospizio per i pellegrini e gli infermi. In particolare, si vede un padre trinitario che, secondo le finalità del suo Ordine, sta per riscattare dalla schiavitù un uomo prostrato a terra e incatenato.
La successiva vetrata rievoca una delle vicende più tragiche nella storia di Angarano. Nel 1312 scoppiò una guerra tra Padova -a cui Bassano era soggetta dal 1260- e Cangrande della Scala, il signore veronese che aveva occupato Vicenza, Marostica, Angarano ed era intenzionato d’impadronirsi anche di Bassano. L’esercito padovano assaltò Marostica, la prese e, dopo averla saccheggiata, la diede alle fiamme, ma non riuscì ad espugnare la rocca. I soldati bassanesi, capita-nati dal podestà Marsilio Polafrisana, uscirono dalle mura della città, occuparono Angarano, conquistarono il castello, passando a fil di spada la guarnigione vicentina che lo difendeva, e lo distrussero dalle fondamenta.
Sulla parete destra del presbiterio, la terza vetrata rappresenta il cardinale Pietro Barbo, vescovo di Vicenza, che 1’8 ottobre del 1460 autorizzò la ricostruzione della chiesa della Trinità. Di fronte, sta quella in cui è raffigurato il cardinale Marino Priuli, vescovo di Vicenza, che il 3 febbraio 1740 consentì che fosse edificata la nuova chiesa, su progetto del Miazzi, più spaziosa e decorosa, attigua a quella quattrocentesca che in parte venne demolita e in parte rimase a formare quella che noi chiamiamo “cappella feriale”. La consacrazione del nuovo edificio sacro avvenne il 26 luglio 1761 -come ricorda la lapide sopra la porta d’occidente- per opera del vescovo Priuli: il solenne evento è commemorato dalla quinta vetrata.

Conclude il ciclo quella del “voto di guerra”, in cui, sullo sfondo dominato dalla chiesa della Trinità, spicca la figura della Madonna che protegge il Bambino stringendolo al petto. Alla madre di Dio si rivolgono con gratitudine i fedeli di Angarano perché – come diceva la didascalia che è stata tolta-“ha voluto salvare dalle rovine della guerra la gente e le case del borgo”.

Nel rosone della facciata spiccano tre stemmi: al centro quello dell’allora regnante Pio XII; a destra quello dei conti Angarano, divenuto simbolo dell’intera comunità; a sinistra quello dell’allora vescovo di Vicenza, monsignor Carlo Zinato. Sovrasta tutto il triangolo equilatero, emblema della Trinità, da cui scende in volo una candida colomba, che simboleggia lo Spirito Santo.

L’affresco del soffitto: L’origine del Trisagio

L’affresco è opera di collaborazione tra il marosticense Antonio Zanotti Fabris (1757c.-1800) e il padovano Giambattista Mengardi (1738-1796)

S’intitola L’origine del Trisagio, cioè della preghiera che loda Dio tre volte santo ed è un inno alla Trinità, alla quale la nostra chiesa è dedicata.
L’episodio che vi è raffigurato risale al 457. Il 25 settembre di quell’anno un terremoto colpì Costantinopoli, capitale dell’impero d’Oriente, e durò quattro mesi. Gli abitanti furono costretti ad abbandonare la città e si rifugiarono all’aperto, nella vicina zona detta Campo Marzio. Qui, assieme al santo patriarca Proclo e all’imperatore Teodosio II, imploravano Dio di por fine al flagello. Un giorno, mentre stavano pregando, videro un fanciullo sollevarsi in aria e poi, quando ridiscese, lo sentirono ordinare con voce divina a Proclo e al popolo di recitare il Trisagio. Essi lo intonarono e immediatamente il terremoto cessò. Da allora il patriarca introdusse nella liturgia il Trisagio e Teodosio lo estese come formula di preghiera a tutto il suo impero.
Nell’affresco la rappresentazione dell’episodio occupa la parte centrale: il fanciullo, messaggero divino, è ancora librato in aria; Proclo, con le mani alzate, esorta i fedeli a cantare il Trisagio; sotto un baldacchino, sta Teodosio affiancato dalla sorella Pulcheria, sua saggia ed energica consigliera, cristiana fervente e poi proclamata santa. Sparsi intorno, i fedeli alzano le braccia al cielo e cantano l’inno per ottenere l’aiuto divino. Nella parte inferiore del dipinto scorgiamo una scena che simboleggia la liberazione dal terremoto: l’ arcangelo Michele, con le ali spiegate, ha incatenato un essere demoniaco e lo sta cacciando nell’abisso spalancato. Nella parte superiore appare, assisa sulle nubi, la Trinità: il Padre è un maestoso vegliardo; al suo fianco destro sta la vigorosa figura di Cristo, che tiene con una mano la croce e con l’ altra sembra impone al terremoto di cessare. Al di sopra di loro, splende radiosa la colomba dello Spirito Santo.
Tutt’intorno appaiono angeli musicanti e cherubini, che volteggiano in cielo e perennemente cantano il Trisagio.
L’ affresco è impostato con un’ abilità prospettica veramente notevole.
Dalla zona terrena, con colori più carichi, si sale verso quella celeste, con colori più chiari e luminosi.
Oltre che dalla gradazione dei colori, il senso dell’ascesa ci è dato dagli arditi scorci delle figure colte da sotto in su. L’intensità della preghiera viene espressa da tutti quei volti e quelle braccia che si protendono verso la Trinità in cielo.
Al di là del valore artistico, questo dipinto è interessante perché rappresenta un soggetto -quello dell’origine del Trisagio assai raro. A rendere più forte il suo significato trinitario, sta il fatto che il patriarca Proclo, teologo acuto ed eccellente oratore, fece del mistero della Trinità uno dei temi prediletti della sua ricerca.

Affresco della Madonna col bambino benedicente

Sulla parete a sinistra dell’altare, durante i lavori compiuti nel 1978 per trasformare la vecchia sacrestia in cappella feriale, è venuto alla luce un singolare affresco d’epoca quattrocentesca, che ci offre un’altra interpretazione della divina maternità di Maria. La figura della Madonna è ora in gran parte rovinata; quella del Bambino benedicente è invece ben conservata. In basso, a sinistra, sta genuflesso un uomo in veste di pellegrino e, sull’altro lato, campeggia la solenne figura di Antonio abate, un santo assai popolare, invocato contro tanti mali, soprattutto contro l’herpes zoster (il cosiddetto fuoco di Sant’Antonio), e per la protezione degli animali domestici. Tutto fa pensare che il muro su cui si stende questo pregevole affresco appartenga all’antica chiesetta campestre della SS. Trinità con annesso l’ospedale, che allora serviva sia da luogo per curare gli infermi sia da ospizio per i pellegrini.

IMMAGINI DELLA MADONNA

Le due immagini della Madonna esposte alla devozione dei fedeli, una nella nostra chiesa e l’ altra nell’ adiacente cappella feriale, sono ispirate al dogma della divina maternità di Maria. La figura della Madre di Dio, che in sé assomma tutte le doti più pure e sante che donna possa avere, è stata fonte ricchissima d’ispirazione per l’arte cristiana.
Pittori e scultori -dall’ignoto frescante che dipinse la prima maternità di Maria nelle catacombe di Priscilla fino agli artisti nostri contemporanei- l’hanno rappresentata infinite volte nei vari atteggiamenti di madre sempre dolcissima verso il figlio suo Gesù, salvatore del mondo.
La statua della Madonna con il Bambino, posta sull’altare della nostra chiesa intitolato alla Mater Consolationis, è opera dello scultore Romano Cremasco. Questo valente artigiano-artista, nato a Santorso nel 1870, si trasferì nel 1903 a Schio, dove apri bottega e dove morì nel 1943. Egli si dedicò soprattutto ad intagliare opere d’arte sacra -Crocefissi, Madonne, Santi- che gli venivano commissionate dalle parrocchie del Vicentino e di altre parti del Veneto. Apprendisti della sua bottega furono i tre figli: Domenico, Raffaele e Guido.
Insieme a quest’ultimo, allora ventisettenne, dotato d’ottimo talento e destinato a diventare famoso in campo nazionale, realizzò nel 1933 per la chiesa bassanese di San Bonaventura il Calvario, un gruppo ligneo di forte intensità drammatica.
Nella statua della Madonna della Consolazione, intagliata nel legno con notevole abilità e dipinta la veste di bianco avorio e il manto d’azzurro impreziosito nei bordi da ricami dorati, l’artista è riuscito ad incarnare la pura bellezza virginale e materna, com’ è gradita al gusto popolare, umana e nello stesso tempo soavemente sublimata.

La piccola e ricamata cintura bianca con fermaglio d’argento, sospesa al polso destro della statua, è la testimonianza dell’antica devozione verso la Madonna della Cintura, praticata in Angarano fin dal 1689 dalla Confraternita omonima e durata fino a qualche decennio fa. Il sodalizio mariano dei Cinturati ebbe origine e nome da un fatto leggendario. Si narrava che alla madre di Sant’Agostino, Monica, profondamente addolorata per la dissolutezza del giovane figlio, apparve la Madonna, che la consolò e, porgendo una cintura, le disse: “Portala finché vedrai che tuo figlio si convertirà.”. Monica ubbidì e un bel giorno ebbe la grazia di vedere Agostino cambiare vita, intraprendendo la via della santità. La Confraternita della Madonna della Cintura, diffusa soprattutto per impulso dei monaci Agostiniani, chiedeva ai suoi aderenti, uomini e donne in gran parte persone semplici e umili, di pregare quotidianamente per santificarsi: il cinturato doveva recitare tredici Pater, Ave e Gloria e la Salve Regina ogni giorno.
Un tempo la solennità della Madonna della Cintura -la principale nella nostra parrocchia- si celebrava la domenica dopo la festa di Sant’Agostino (28 agosto).
Poi tale solennità ha mutato il suo nome assumendo quello di Madonna della Consolazione e si festeggia nella terza domenica di settembre.
L’altra bella e tenerissima immagine della Madonna connessa con il tema della divina maternità è raffigurata nella paletta, attribuita al più giovane dei figli di Jacopo Bassano, Gerolamo (1566-1621), che oggi orna l’altare ligneo della cappella feriale. In cielo, seduta sulle nubi e attorniata da graziosi angioletti, appare Maria di Nazaret, che sta amorevolmente allattando il Bambino. A destra, in basso, sullo sfondo di un suggestivo paesaggio collinare che ricorda quello angaranese, la Maddalena rivolge lo sguardo fiducioso alla Madonna; sull’ altro lato, Sant’Eurosia guarda verso lo spettatore, quasi a coinvolgerlo nella contemplazione della scena celestiale.

San Giovanni di Matha e San Felice di Valois

I due grandi quadri, che spiccano con vivaci colori ai lati dell’apertura absidale: protagonisti delle scene raffigurate sono i fondatori dell’Ordine della Santissima Trinità, San Giovanni di Matha e San Felice di Valois.

La confraternita della SS. Trinità nel 1758 (la data si può leggere nel quadro di San Felice) commissionò le tele dei due santi fondatori dell’Ordine a Giuseppe Graziani (1699-post 1760), un pittore meritevole del rinnovamento decorativo di molte chiese a Bassano e dintorni, verso la metà del Settecento.

Nel dipinto a destra di chi è rivolto verso l’abside appare San Giovanni di Matha, la cui biografia è ben nota.
Nato da nobile famiglia a Faucon in Francia nel 1154, morì a Roma nel 1213. Fin da fanciullo si era sentito chiamato alla vita religiosa; da giovane aveva studiato teologia nell’università di Parigi, dove fu anche insegnante. Ordinato sacerdote, ebbe una visione mentre celebrava la prima sua messa: “Vide, racconta un suo anonimo biografo, il Signore che teneva per mano due schiavi con catene ai piedi, l’uno nero e defoline, l’ altro bianco e macilento”. Giovanni capì che la sua missione doveva essere quella di occuparsi di coloro che cadevano in schiavitù.
A questo scopo fondò, insieme a Felice di Valois, l’ Ordine.

Nella tela di sinistra scorgiamo San Felice di Valois, anch’ egli colto dal pittore mentre esercita la sua caritativa e apostolica missione. Di lui abbiamo scarse notizie. Nato prima della metà del secolo XII, si dedicò alla vita eremitica nel suo possedimento di Cerfroid (Cervus Frigidus).
Qui lo venne a trovare Giovanni di Matha, che ottenne la sua entusiastica adesione al progetto di fondare l’ Ordine. A Cerfroid essi stabilirono la casa madre, dove, secondo la tradizione, Felice mori il 4 novembre 1212. A Ceifioid allude nel quadro la presenza del cervo raffigurato dal Graziani accanto a San Felice. Ma l’immagine del cervo, con la croce rossa e azzurra tra le corna, è anche simbolo della salvezza portata agli schiavi dall’Ordine della Santissima Trinità.

L’Ordine della Santissima Trinità

Tale Ordine, approvato nel 1198 da Innocenzo III, aveva lo scopo di riscattare e liberare i cristiani fatti schiavi dai saraceni e quindi esposti al pericolo di perdere la fede. A quel tempo l’ Ordine rispondeva a una esigenza umanitaria fortemente sentita in Occidente: i musulmani avevano occupato la Spagna e le loro navi compivano incursioni sulle coste della Francia e dell’Italia, saccheggiavano i paesi e ne rapivano gli abitanti. L’ Ordine era sostenuto dall’appoggio delle autorità religiose e civili. Ben viste erano anche le confraternite da esso costituite per facilitare la raccolta di elemosine destinate al pagamento del riscatto degli schiavi.
Nel 1727 anche in Angarano venne fondata una di quelle confraternite.
Dal 1740 si cominciò a costruire la nuova chiesa progettata dal Miazzi. Quando era ormai finita e si trattava di abbellirla, la confraternita nel 1758 (la data si può leggere nel quadro di San Felice) commissionò le tele dei due santi fondatori dell’Ordine a Giuseppe Graziani (1699-post 1760), un pittore meritevole del rinnovamento decorativo di molte chiese a Bassano e dintorni, verso la metà del Settecento.

I Trinitari, vestiti di bianco e fregiati di una croce rossa e azzurra sullo scapolare e sul mantello, furono i nuovi crociati, che inermi andavano a liberare non la Terra Santa ma i corpi e le anime. I colori del loro abito tradizionale -con cui appaiono i due santi dipinti dal Graziani- hanno un preciso riferimento alla Trinità: il bianco simboleggia la luce di Dio Padre; il rosso ricorda il sangue versato da Dio Figlio; l’azzurro è simbolo dell’affiato dello Spirito Santo.

San Giorgio e Sant’Eusebio, San Michele Arcangelo e Sant’Apollonia

tele sul retro, girando le spalle all’altare ai lati di quella che era la cantoria  con l’organo antico,
in posizione simmetricamente corrispondente a quella delle due tele del Graziani, sono collocati due dipinti con le stesse dimensioni.

Quello a destra di chi entra in chiesa è opera (1670) di Giambattista Volpato (1633-1706) e raffigura San Giorgio e Sant’Eusebio. San Giorgio, martire del IV secolo, è titolare della chiesetta, in località Alle Acque, che risale all’VIII secolo ed è ritenuta il più antico monumento della zona bassanese. Questo santo, come San Michele e Sant’Eusebio, venne proposto alla venerazione dei Longobardi dai missionari che li convertirono dal cristianesimo ariano a quello cattolico. In questo dipinto San Giorgio appare come il coraggioso guerriero che -racconta la leggenda- vinse il drago che terrorizzava la città di Silena e che stava per divorare la principessa figlia del re. A Sant’Eusebio, vescovo di Vercelli nel IV secolo, è dedicata la pieve matrice della chiesa della Trinità. Il culto del santo, che fu uno dei più forti e zelanti difensori delle fede cattolica contro l’eresia ariana, ebbe grande diffusione nell’Italia settentrionale e dal 1961 egli è festeggiato come patrono principale della regione Subalpina. Qui il vescovo è rappresentato mentre porta l’Eucaristia agli ammalati: un’allusione agli infermi che giacevano nell’ospedale anticamente annesso alla chiesa della Trinità. E’ da sottolineare anche il fatto che Eusebio compose un trattato, in forma di dialogo tra un cattolico e un eretico, intitolato De Trinitate.

Autore dell’altro dipinto, che reca il nome in parte scomparso dei massari committenti e la data 1670, fu Girolamo Bernardoni (1640 -1718), allievo del Volpato.
Nella tela sono celebrati due santi: San Michele arcangelo, titolare della chiesa, di origine longobarda, di San Michele, in territorio angaranese, un tempo dipendente anch’essa dalla pieve matrice di Sant’Eusebio; Sant’Apollonia, che porta con la sinistra la palma del martirio e con la destra la tenaglia col dente, simbolo della tortura a cui fu sottoposta. Per questo motivo, la santa è invocata come protettlice contro tutti i mali dei denti.

Martirio di Sant’Eurosia

Compiuti pochi passi dopo l’entrata, si scorge a destra un grande quadro, a cui di fronte fa da pendant un altro d’uguale grandezza, opere (1889) dello stesso pittore veneziano Bartolomeo Dusi. Quello sulla destra rappresenta il Martirio di Sant’Eurosia: una scena drammatica in cui la giovane cristiana viene condotta alla decapitazione da feroci soldati, vestiti in foggia orientale. Il culto di questa santa -che secondo la tradizione popolare fu martirizzata presso Jaca, città della Spagna, nel 714- si diffuse, al tempo della dominazione spagnola in Lombardia, nel nord Italia, dove a suo titolo si trovano cappelle, altari e immagini
E’ compatrona della parrocchia di Angarano, che la festeggia nella seconda domenica di luglio. Eurosia è onorata come protettrice dei frutti della terra, viene invocata contro la grandine e la siccità: flagelli che talvolta colpivano -come attesta il Libro cronistorico parrocchiale- anche la campagna e la collina d’Angarano, portando carestia e miseria.

La Sacra Famiglia è il tema dell’altra tela del Dusi, caratterizzata da un’ atmosfera serena e ambientata in un paesaggionostrano. San Giuseppe ha sospeso il suo lavoro di falegname per guardare il fanciullo Gesù, che porta alla madre Maria, seduta presso la porta di casa, già in atteggiamento di Mater dolorosa, una piccola croce da lui stesso costruita: presagio della morte per crocifissione, con cui il figlio di Dio riscatterà l’umanità.

l’Estasi di Sant’Eurosia,l’Estasi di Santa Rita da Cascia

Sotto il quadro del Dusi a destra è appesa la piccola pala con l’Estasi di Sant’Eurosia, opera di fine Ottocento dovuta al pittore A. Mattiello.

Anche sotto il quadro di sinistra sta una piccola tela, del primo Novecento e d’autore anonimo, in cui è raffigurata l’Estasi di Santa Rita da Cascia. Questa santa, dopo una tribolata vita di sposa e di madre, si ritirò nel monastero delle Agostiniane nella piccola città umbra. E appunto in veste monacale è qui ritratta, nel momento in cui, durante un’estasi, le si conficca nella fronte una spina della corona di Cristo crocefisso, che le aprirà una stimmata destinata a durare dolorosamente fino alla sua morte, avvenuta il 22 maggio 1457.
E proprio il 22 maggio la parrocchia di Angarano la celebra come sua compatrona. Venerata già in vita, è detta “Santa dell’impossibile” perché mediatrice delle più straordinarie guarigioni e conversioni. Davanti alla sua immagine, vediamo sempre tante candele accese dai devoti che la onorano e la implorano.

l’Estasi di Sant’Antonio di Padova

Sopra la porta ovest è collocata la pala settecentesca di autore ignoto con l’Estasi di Sant’Antonio di Padova, uno dei santi più noti, amati, invocati e rappresentati. La scena qui fissata dal pittore ricorda un fatto prodigioso di cui fu testimone il conte padovano Zino Camposampiero, che ospitava nella sua casa il frate e che lo vide in estasi davanti all’ apparizione di Gesù Bambino.

Altare laterale  a destra

San Vincenzo Ferreri, compatrono della parrocchia insieme alla Madonna della Consolazione, a Santa Rita da Cascia e Santa Eurosia martire, è celebrato nella pala che orna l’altare a lui dedicato e che è opera (1889) anch’essa – di Bartolomeo Dusi. Lo spagnolo Vincenzo Ferreri, vissuto nel XV secolo, fu un grandissimo predicatore dell’Ordine domenicano. Qui è rappresentato sulla soglia di un tempio, in atteggiamento ispirato, con le braccia protese. Sul suo capo è accesa una fiamma, simbolo della forza focosa della sua predicazione. La parrocchia lo festeggia la seconda domenica dopo la Pasqua. Con lui ha in comune il nome San Vincenzo martire, il cui corpo è custodito nella cassa settecentesca, collocata sotto la pala. Non si sa con certezza quando quel corpo sia stato portato nella chiesa della Trinità: secondo una fonte, esso fu donato dal vescovo Priuli, quando nel 1721 consacrò la nuova chiesa; secondo un’ altra fonte, esso sarebbe stato qui presente fin dal 1683.

San Bovo

Un tempo nella navata era esposto il quadro con San Bovo, che oggi è appeso nella cappella feriale. Vissuto nel X, secolo, Bovo, secondo una biografia antica che contiene elementi leggendari, da giovane scelse la professione di cavaliere per combattere i Mori. Dopo molte vittorie, decise di cambiare vita e si dedicò all’ascesi e alla penitenza, acquistando fama di taumaturgo. La pala (1750), opera anche questa del Graziani, ci mostra appunto il santo che procede in sella ad un bianco cavallo e che regge con la sinistra un candido stendardo, sul quale spicca la piccola immagine di un bue. Al cavaliere si rivolgono supplicanti un bambino, uno storpio e un contadino che conduce un bue. Viene quindi a lui riconosciuta quella funzione di protettore dei bovini, che derivò dal nome stesso del santo, e quel la di taumaturgo.

Le nozze di Cana

Nel 1870 la Fabbriceria acquistò -non sappiamo da chi- le due grandi tele che ornano le pareti del presbiterio. Con molta probabilità prima esse stavano nel presbiterio (luogo dove di solito si collocavano quadri di questo tema) di un’ altra chiesa, dalla quale vennero dismessi per un qualche motivo- ammodernamento, ristrutturazione, demolizione. Non dovevano essere in perfette condizioni, se già nel 1889 s’incaricò il pittore veneziano Bartolomeo Dusi di restaurarle. Per poter meglio osservare i dipinti, bisogna entrare nel coro. Alla nostra destra, vediamo quello che raffigura le Nozze di Cana, raccontate da Giovanni, che è poi il solo evangelista a parlarne. La scena è ambientata in una loggia, aperta al paesaggio nella parte destra. Intorno a una tavola gremita di piatti e bicchieri siedono gli sposi e i convitati, tra cui spiccano Maria e Gesù: sono queste due figure protagoniste che accentrano l’attenzione e l’interesse di noi che guardiamo. L’artista ha colto il momento in cui Gesù ordina ai servitori di riempire le anfore ormai vuote con l’ acqua, ch’ egli poi tramuterà in vino, un vino migliore di quello già bevuto. Il primo miracolo, tra i tanti compiuti dal figlio di Dio. Il tema delle nozze di Cana -la prodigiosa trasformazione dell’acqua in vino durante il banchetto nuziale- viene spesso proposto come allusione al banchetto eucaristico e alla transustanziazione.

la peccatrice perdonata

Allo stesso pittore di questo quadro è dovuto quello che fa da pendant sulla parete opposta del presbiterio e che interpreta l’episodio evangelico della peccatrice, la quale, in casa del fariseo Simone, bagna di lacrime i piedi di Gesù, li asciuga con i suoi capelli e li unge con un prezioso unguento (Giovanni 12, 3). Anche questa scena è ambientata in una loggia, che si apre sul paesaggio alla nostra destra. Pure qui, al centro della composizione, sta una tavola, attorno alla quale siedono uomini colti in atteggiamento di torsione. Con questo dinamismo il pittore vuole esprimere nel primo quadro lo stupore dei convitati per il miracolo che Cristo sta operando e nel secondo la meraviglia scandalizzata dei farisei per quello che accade sotto i loro occhi. La peccatrice viene perdonata da Gesù e da lui confortata: “La tua fede ti ha salvata. Va in pace”. Nell’ atmosfera solenne e intensa delle due composizioni una nota di quotidianità è introdotta da due brani di genere: nel primo quadro, un cane punta minaccioso un gatto che si acquatta sotto la tavola; nel secondo, in un angolo un bambino giocherella con un cane. Queste due opere d’ignoto artista settecentesco oggi si presentano offuscate nei colori e con qualche lacerazione nella tela: un accurato restauro potrebbe restituire in gran parte ad esse l’originale bellezza, consentire una più adeguata lettura stilistica e facilitare il riconoscimento dell’autore e dell’ambito in cui egli operò.

GLI ORGANI DELLA CHIESA

di Sara Sbordone Bravo

La chiesa della SS. Trinità è attualmente dotata di due organi, di origine ed epoca di costruzione sostanzialmente diverse. Il primo strumento, più antico, è chiuso in cassa lignea e collocato in cantoria, sopra la porta di ingresso alla chiesa. Dotato di prospetto di 25 canne, disposte a cuspide con ali, è stato costruito o collocato probabilmente nell’ultimo quarto dell’Ottocento, forse in sostituzione di un precedente strumento dell’organaro veneziano Antonio Barbini, trasferito nel 1887 alla chiesa parrocchiale di Castion (Treviso) e oggi non più esistente.
In occasione del suo restauro, effettuato dalla ditta Tamburini nel 1976, lo strumento è stato attribuito a Giacomo Bazzani il giovane, organaro veneziano operante nella seconda metà del-l’ Ottocento. Lo stato di conservazione dell’organo al momento del restauro era abbastanza grave, in seguito ad estesi interventi di “rifoLma” che lo avevano privato della cassa e modificato nelle sue parti più importanti, snaturandone l’ aspetto fonico e meccanico. La sua disposizione fonica, frutto del restauro-ricostruzione del 1976, ricalca grossomodo l’idea di “organo vento” della metà dell’Ottocento; durante l’intervento citato sono state ricostruite numerose parti dello strumento, tra cui la cassa, le meccaniche dei registri, parte del somiere (che era stato diviso in due parti), il crivello, le condutture dell’aria e una parte consistente del materiale fonico. La disposizione fonica attuale è la seguente:
Tromboncini Bassi Principale Bassi (8′)
Tromboncini Soprani Principale Soprani
Clarone Bassi Ottava
Corno Inglese Soprani Quintadecima
Flutta Reale Decimanona
Flauto in Ottava Bassi Vigesimaseconda
Flauto in Ottava Soprani Vigesimanona
Cornetta Trigesimaterza
Voce Umana Trigesimasesta
Tromboni (pedale) Contrabassi e Ottave di Contrabassi (al pedale)
Accessori:
Unione tasto-pedale (a manetta, non funzionante) Tiratutti a pedaletto
Combinazione alla lombarda
La tastiera, cromatica, ha 54 tasti (con estensione Dol-Fa5) con ricopertura moderna in bosso (tasti diatonici) e in ebano (tasti cromatici); il telaio è probabilmente antico.
La pedaliera, moderna, ha 24 tasti (con estensione Dol-Si2) ed è costantemente unita alla tastiera. I registri sono azionati da manette ad incastro a spostamento laterale.

 

Il secondo organo

Il secondo organo della chiesa, di fabbricazione ben più recente dell’altro, è collocato sul pavimento dell’abside, dietro 1′ altar maggiore. Costruito dalla ditta Tamburini, è destinato all’accompagnamento del coro e delle funzioni liturgiche; ha trasmissione elettrica e due manuali con registri “multipli”. Lo strumento non presenta particolare interesse dal punto di vista artistico e musicale.

Il campanile

Ad oriente della chiesa e attiguo alla cappella feriale, resto dell’antica chiesetta, si alza l’ agile campanile -alto 37 metri-di origine probabilmente quattrocentesca e rinnovato nel Settecento. Le attuali campane, fuse nell’ottobre del 1841, vennero collocate nella cella e furono benedette il 4 dicembre di quell’anno dal vescovo di Padova, mons. Modesto Farina. La maggiore, di 920 chilogrammi, è consacrata a Maria Santissima; la mediana, di 642 chilogrammi, a San Vincenzo Ferreri; la terza, di 438 chilogrammi, a Sant’Eurosia. La piccola di richiamo, non fusa in quell’anno, pesa 150 chilogrammi Le tre campane vennero prodotte dalla famosa fonderia Colbacchini, che aveva sede in Angarano.
Nel giorno di San Bovo, 2 gennaio, del 1880 fu sospeso il suono delle campane, perché la pietra che sovrastava la pigna del campanile minacciava di crollare. In marzo si provvide a cambiare la pietra e la croce, ad aggiustare la pigna e a mettere in opera un parafulmine che prima non esisteva. Il 13 di quel mese si poterono risuonare le campane.
Nel luglio del 1892 il campanile fu radicalmente restaurato al di sopra della cella campanaria e, tranne la pigna, fu tutto rinnovato.

bibliografia

Libro cronistorico, ms. sec. XIX, Archivio Parrocchiale della Trinità; A. R. BERTAGNONI – R. BORIN, La comunità di Angarano nella storia civile ed ecclesiastica, Vicenza 1948; R. BORIN, Ricerche storiche sulla comunità di SS. Trinità di Angarano, Bassano del Grappa 1981.